mercoledì 30 luglio 2014

A midsummer night's mix of comics



Joseph P. Kelly, Mould Map #3



Siamo ormai in piena estate e mentre mi preparo a chiudere il blog per ferie (tornerò da queste parti a fine settembre) ho voluto raccogliere in questo lungo e confusionario post delle brevi segnalazioni di fumetti letti negli ultimi tempi e di cui non sono riuscito a parlare in modo più esteso, nonostante le buone intenzioni.
Cominciamo con una serie di antologie e in particolare da Mould Map #3, cui ho accennato più volte su questo sito. Venduto attraverso una campagna su Kickstarter e adesso già di difficile reperibilità, questo terzo numero ha il merito di scegliere non tanto un tema preciso ma una serie di temi (il labile confine tra presente e futuro, l'architettura futuristica, il dualismo tecnologia-natura e le sue implicazioni sessuali, la finanza globale, il consumismo, le rivolte di strada, ecc.), che danno vita a un concept vago ma estremamente suggestivo. Mould Map #3 riesce a creare un luogo in cui far abitare il lettore e i cui architetti sono gli editor Hugh Frost e Leon Sadler insieme agli autori delle storie. Unico neo, per quanto mi riguarda, sono le grafiche e le illustrazioni realizzate interamente in digitale, che ho trovato in larga parte scontate. Ma se non raggiunge la perfezione l'antologia arriva almeno all'eccellenza, con particolare merito ai lavori di Viktor Hachmang & GHXYK2, Noel Freibert, C.F., Sam Alden, Olivier Schrauwen, Lala Albert, Joseph P Kelly, Blaise Larmee, Lando, Gabriel Corbera, Sammy Harkham, Jacob Ciocci e Joe Kessler. Per un'analisi più dettagliata vi rimando alla recensione di Joe McCulloch per il Comics Journal, con tanto di strascico polemico a firma Jonny Negron (a me il suo contributo è piaciuto...).



Sammy Harkham, So Long, Mould Map #3


L'antologia spagnola Terry, pubblicata da Fulgencio Pimentel, condivide con la precedente So Long di Sammy Harkham, qui ristampata in bianco, nero e viola e in un formato più ampio (in Mould Map era uno degli inserti A5), oltre ad alcuni collaboratori come Olivier Schrauwen e Simon Hanselmann, autore anche del mini-comic Oldies allegato al volume. Tutta in spagnolo ma con le traduzioni inglesi stampate su un foglio a parte, Terry presenta un mix di inediti e di fumetti già pubblicati altrove. Proprio i tre autori appena citati realizzano le cose migliori: Harkham inquieta con una cinematica sequenza muta in un'ambientazione algida, Schrauwen conferma l'abilità di rendere reale l'irreale con il resoconto dettagliato di un rapimento alieno, Hanselmann in Owl's Room unisce cinismo e calembour in uno dei pezzi migliori della serie Megg, Mogg & Owl. Piacevoli e riusciti anche i contributi di José Ja Ja Ja, Jim Woodring, Sindre Goksøyr, Gonzalo Rueda e Michael DeForge (con College Girl by Night, già vista su Thickness #2).


Gonzalo Rueda, The 3 Catalans, Terry



Rimaniamo su altissimi livelli con il numero 164 di Descant, una rivista letteraria canadese che dedica un intero volume ai cartoonist autoctoni dando sfogo sotto il titolo Cartooning Degree Zero ai diversi approcci possibili all'arte disegnata. Come al solito vado per merito e cito, a mio personale gusto e parere, David Collier, Maurice Vellekoop, Ethan Rilly, Michael DeForge, Julie Delporte, Michael Comeau, Jesse Jacobs e Connor Willumsen. L'apparato critico che accompagna i fumetti risente a volte di un tono generalista, ma presenta anche due pezzi davvero ben fatti, cioè Dominion Days and Superheroes: The Genius of Seth di Mark Kingwell, che parte da memorie di infanzia per arrivare ad analizzare l'arte dell'autore di Palookaville, e Canadian Comics: An Unknown Literature a firma Rachel Riley, incentrato sulla collezione di fumetti canadesi creata da John Bell. 
Su queste pagine mi sono occupato più volte di š! e affini, ma mi fa piacere tornare sulla piccola rivista lettone per segnalare l'ottima sedicesima uscita, sicuramente una delle migliori finora. Dedicato ai villaggi ed estremamente coerente nell'organizzazione dei contributi, š! #16 si distingue per un tono più descrittivo e malinconico rispetto al solito, colpendo dal punto di vista grafico grazie agli eccezionali lavori di Chris Reijnen, Placid, Evangelos Androutsopoulos, Anna Vaivare e Anthony Meloro: alcune tavole sono talmente affascinanti che viene voglia di vederle in un formato più grande. Nel frattempo sono arrivati anche il diciassettesimo numero dell'antologia, intitolato Sweet Romance, e quattro nuovi mini kuš! a firma Oskars Pavlovskis, Rūta & Anete Daubure, Anna Vaivare e Roope Eronen.



Anthony Meloro, Orangeville, š! #16


Vediamo adesso qualche fanzine che mi è stata gentilmente spedita da voi lettori. Grazie a Milena Semeonova, che mi aveva colpito leggendo la lituana SW/ON #2, ho potuto fare conoscenza della bulgara Co-Mixer, rivista brossurata scritta in gran parte in bulgaro ma con traduzioni in inglese a fondo pagina. Il quinto numero presenta 33 storie brevi unite sotto il tema/titolo In Movement, affrontato nei modi più disparati, mettendo in fila underground e manga, fumetto realistico e fantasy. Co-Mixer vuole essere sostanzialmente una palestra per autori emergenti, anche se ci sono diversi cartoonist che già hanno maturato uno stile degno di nota: penso per esempio ad Alexandra Ruegler, Lucija Mrzljak, Evgenia Nikolova e soprattutto a Peter Aquino, che con These Things Move... realizza il fumetto più indovinato e poetico del lotto. 
Metà valvola di sfogo per i membri del suo collettivo e metà rivista che raccoglie contributi da tutto il mondo, anche l'italiana Lök Zine è arrivata al traguardo della quinta uscita, che affronta il tema dell'identità. Il livello qualitativo sale di volta in volta nonostante qualche imperfezione ancora da limare, sia nei contenuti che nella cura editoriale. Comunque qui ci sono cose decisamente interessanti, dai fumetti di Matteo Farinella (di questi giorni il suo debutto per Rizzoli/Lizard con Neurocomic, già edito nel Regno Unito e in Francia) e Aaron Whitaker alle illustrazioni di Alessandro Ripane, Margherita Morotti e Felix Bork.
Approfitto di questo spazio per recuperare anche le ottime zine pubblicate da Andrew Owen Johnston sotto il marchio Zine Arcade. Il numero quattro, risalente ormai al 2012, ha l'aspetto di un quaderno e raccoglie all'interno disegni, schizzi, vignette e foto di autori diversi che si divertono a interagire all'interno della stessa pagina. Capita così di vedere le figure di Sophia Moseley arrampicarsi sotto la polaroid di un grattacielo, gli strani animali di Lizz Lunney sedere imperturbabili mentre una formosa signora disegnata da Bernardo Morales prepara un bloody mary, il tutto mentre scorrono le elucubrazioni dei personaggi di Kevin Hooyman, gli scaffali pieni di libri di Jonathan Kelham, i collage di Zeroten. Assolutamente affascinante. Il numero successivo, in formato mini e risalente all'anno scorso, si intitola The Secret Spy Handbook e ha l'aspetto di un libretto di istruzioni per una spia che combatte contro una minacciosa organizzazione nemica. In mezzo ci sono i fumetti dei soliti collaboratori, tra cui il sempre bravissimo Hooyman e anche Amanda Baeza ed Elaine Lin, autrici di cui Johnston ha fatto uscire due belle raccolte monografiche.





Lasciamo a questo punto il mondo delle fanzine e arriviamo a parlare di una serie di comic-book e mini-comics spillati. Hypermaze di Brian Blomerth è il primo capitolo della Alltell Hyperseries, che racconta le avventure di Pepsi, la sexy protagonista sempre in preda alle sue voglie e coinvolta in una cospirazione a cui è ben poco interessata. Lo stile cartoon-psichedelico di Blomerth ci regala continue trovate nella costruzione delle tavole e alcune perle veramente geniali nella parte ambientata nel museo, che ricorda la celebre sequenza del Joker nel primo Batman targato Tim Burton. Un po' Jodelle, un po' Luther Arkwright, un po' Robert Crumb, questo Hypermaze è un fumetto che meriterebbe ben altra attenzione: spero di tornare più esaustivamente su Blomerth in futuro.
Ho già parlato invece più volte di Noah Van Sciver, di cui ho recensito sia gli sketchbook che la raccolta Youth Is Wasted. The Lizard Laughed è un albetto autoconclusivo di 32 pagine stampato su carta gialla dalla Oily Comics di Charles Forsman. Ambientato nel New Mexico, racconta l'incontro tra Nathan e suo padre Harvey. I due sono sostanzialmente degli estranei, dato che Harvey ha abbandonato prematuramente Nathan andandosene di casa. I dialoghi sono secchi e anche più amari rispetto al solito Van Sciver, che qui mette da parte l'umorismo per una splendida storia di inettitudine, rabbia, risentimento e forse perdono, in cui è difficile trovare personaggi e sentimenti positivi. I panorami del New Mexico sono disegnati egregiamente e continuano a confermare l'inarrestabile crescita artistica del cartoonist di Denver.


Noah Van Sciver, The Lizard Laughed


Un'altra storia autoconclusiva di 32 pagine è Hollow in the Hollows di 
Dakota McFadzeanpubblicata dalla One Percent Press. Di McFadzean ho già parlato a proposito dell'antologia Irene, di cui è editor insieme a dw e Andy Warner, ma il cartoonist canadese ha anche una bella produzione autonoma alle spalle, che include il volume Other Stories and the Horse You Rode In On, edito da Conundrum Press. La stessa casa editrice pubblicherà l'anno prossimo The Dailies, una collezione delle strisce che l'autore posta quotidianamente sul suo blog. Proprio la tradizione delle strip, evidente nell'espressività dei personaggi, è fondamentale in questo albo, che rimanda anche alla linea rotonda di Joe Matt e all'ambientazione da paesino di provincia di Seth. La storia ha però ben poco a che fare con questi riferimenti. Mary e Arnold sono due bambini inquieti e un po' sfigati, ignorati o peggio maltrattati dai compagni di classe. Quando Mary ritroverà nel bosco il teschio di un cervo, la sua vita si riempirà di oscuri presagi... o forse di magia. Metaforico, delicato, profondo, Hollow in the Hollows è un romanzo di formazione che affascina e commuove.



Dakota McFadzean, Hollow in the Hollows


#foodporn è la nuova fatica di Meghan Turbitt, artista statunitense che già con i mini-comics del suo personaggio Lady Turbo ha sfoggiato uno stile grezzo, selvaggio, dionisiaco. Ogni pagina è un manifesto di grinta, istinto, a volte rabbia e desiderio sessuale, senza troppe mediazioni intellettuali. La nuova uscita si basa su un'idea estremamente efficace e mostra una serie di gag in cui cuochi, baristi e camerieri inizialmente poco attraenti si trasformano in perfetti amanti dopo aver preparato il cibo che la protagonista ingerisce con assoluto godimento. Ecco così che uno sgraziato e sporco pizzaiolo diventa una bomba sexy dopo aver maneggiato con abilità una pizza, ecco la protagonista che dopo aver ammirato la preparazione del sushi si sdraia nuda sul bancone con il pesce (ehm...) su tutto il corpo, ecco poi che - nella gag più truculenta del lotto - la ragazza trova talmente gustosa una birra da andare in bagno a odorare il water utilizzato dal barista. I fumetti di Meghan Turbitt sono pazzi e divertentissimi.



Meghan Turbitt, #foodporn


Dopo una campagna Kickstarter di cui ho già parlato in passato, Pat Aulisio ha iniziato a sfornare con la sua Yeah Dude Comics una serie di albetti spediti via posta in abbonamento. A fare da apripista è stato Stoner Alien, 16 divertentissime pagine con protagonisti un alieno e una tartaruga ninja balordi e strafatti, capaci di ricordare la serie tv Wilfred o i personaggi di Simon Hanselmann. Tuttavia Aulisio ha dei tempi comici tutti suoi: la scena della vecchietta che spiega all'alieno dietro al bancone dei salumi come affettare il prosciutto è assolutamente irresistibile. A Stoner Alien sono seguiti due albi entrambi di 12 pagine, ossia Find Me, Look For Me di Laura Knetzger, ancora sul tema dell'alieno ma declinato stavolta con sensibilità e grazia, e Iron Skull di Skuds McKinley, un lavoro grafico potente, che inizia con due pagine dedicate a una donna e conclude con citazioni dei Black Flag. Le ampie pennellate rimandano, per stessa ammissione dell'autore, a Paul Pope, ma la sua arte è comunque originale e intrigante. Intanto ha visto la luce in questi giorni Future Masterpiece di Victor Kerlow e Josh Burggraf, nuovo albo della sottoscrizione Yeah Dude, che però ancora non ho avuto la possibilità di vedere.
Rimaniamo nello stesso giro di autoproduzioni statunitensi con la Sacred Prism di Ian Harker. Mentre quelli della Yeah Dude sono albi di formato, foliazione e concept uno diverso dall'altro, Harker preferisce la regolarità di albetti di 16 pagine stampati in risografia utilizzando due colori. Proprio l'uso del colore è uno dei punti di forza di tutta la collana e trova magistrale espressione in Internet Comics di Maré Odomo, una serie di idee, note, frasi sul mondo della rete e dei social network, di cui è uscito quest'anno il secondo numero in giallo e blu. Anche Inés Estrada in CS ci regala un meraviglioso saggio sull'uso dei colori, in questo caso verde e rosa, mentre quella che è al momento l'ultima uscita, la seconda puntata di Blades & Lazers di Benjamin Marra, è un gustosissimo serial fantasy-futuristico con protagonisti due mercenari, uno specializzato nell'uso della spada e l'altro, appunto, dei laser. Sacred Prism è ormai garanzia di qualità e non rimane che aspettare i prossimi gioielli di casa Harker.



Maré Odomo, Internet Comics #2


Chiudo questa rassegna con un'anteprima, quella di Night Burgers, nuova antologia spillata edita dalla Negative Pleasure dopo Felony Comics e Revulsion e in attesa del terzo numero di Jeans. Al momento ho potuto vedere solo una preview in pdf, dato che l'albo è ancora in stampa, ma già così la nuova fatica di Harris Smith, editor e autore della copertina, fa vedere grandi cose dal punto di vista grafico. E di sicuro l'albo sarà ancora più affascinante una volta stampato, dato che utilizza colori fluorescenti e viene venduto insieme a degli occhiali prismatici "per una completa esperienza psichedelica". Nelle 24 pagine di Night Burgers troviamo fumetti e illustrazioni di Victor Kerlow, Anthony Meloro, Josh Freydkis, Josh Burggraf, Jason Murphy, Amy Searles e Ken Johnson. Tra tutti i lavori meglio riusciti sono a mio parere quelli del bravissimo Meloro e di Burggraf: il primo racconta nel suo solito stile pop-retrò la storia di una donna che diventa sensitiva quando mangia hamburger, il secondo dà vita a una rappresentazione del futuro esteticamente coloratissima ma oscura nei contenuti.
E detto questo, buone vacanze a tutti.


Josh Burggraf, Truly This Is Our Darkest Hour, Night Burgers 

lunedì 28 luglio 2014

Zombre #1-2 + Magic Forest #1 + Zombre #3 Preview




Il primo numero di Zombre di Ansis Purins era un albetto formato A6 di 12 pagine in bianco e nero, quasi del tutto muto e in cui assistevamo allo scontro tra il protagonista - uno zombie che abita una foresta magica situata su un'isola - e Slappy, una versione in negativo dello stesso Zombre. Oltre a questo Megathunder Showdown tra i due, l'albo serviva a introdurci ai personaggi della serie, tra cui Ranger Elvis e Ranger Jones, il primo un hippie vegetariano e casinista, il secondo il suo capo, autoritario e pedante, ma che nasconde un insospettabile segreto. 
E' in Zombre #2, sottotitolato The Magic Forest e vincitore di uno Xeric Foundation Award, che questi personaggi prendono forma più definita, consentendoci di apprezzare al meglio l'arte di Purins dopo un esordio che sembrava più che altro un divertissement. Di formato più grande e più corposo nella foliazione (48 pagine), questo secondo numero risale ormai al 2010 ed è caratterizzato da un notevole cambiamento a livello stilistico. Le vignette piccole e dettagliate del primo albo, dominate dallo sfondo grigio e da un tratto più marcato, lasciano spazio a una pagina più ariosa, in cui la prevalenza del bianco evidenzia un tratto pulito e ben definito. Sin dall'apertura possiamo notare come il cartoonist si diverta a disegnare i suoi protagonisti, gli animali della foresta, gli alberi e le cascate, mettendo in fila pagine prive di testo, bucoliche quanto eleganti. Per il resto la storia si sviluppa intorno a uno dei visitatori dell'isola e alla figlia, costretta dal padre a portare un casco per proteggersi dai "pericoli" della natura.




Il loro incontro con Zombre è una successione di gag divertenti e ben costruite, anche se la maggior parte dell'intrattenimento è merito del ranger Martin Elvis, sempre in ritardo e impacciato, sicuramente il personaggio più azzeccato tra quelli creati da Purins. Mentre era in lavorazione Zombre #3, l'anno scorso Purins ha ingannato l'attesa pubblicando un albo interlocutorio, Magic Forest #1, considerato una sorta di Zombre #2.5. In queste 16 pagine, in parte a colori, l'autore tralascia i paesaggi descritti con tanta cura in precedenza a favore di brevi gag in cui Zombre non appare, lasciando spazio ai rangers oltreché a sirene, elfi, fate e ragni. Per sapere invece come proseguirà la storia principale dovremo aspettare Zombre #3, attualmente in lavorazione. Nel frattempo ho potuto leggerne un'anteprima e ho apprezzato come il plot si sviluppi coerentemente con quanto visto finora, aggiungendo nuove rivelazioni sui protagonisti e sulla loro origine, con qualche colpo di scena che aggiunge pepe al racconto e mette voglia di leggerne il seguito. Di oltre 80 pagine e tutto a colori, il nuovo albo è a mio parere quanto di meglio fatto finora da Purins, rappresentando una nuova evoluzione nel cartooning di un artista dotato di uno stile delizioso e capace di creare un universo narrativo tutto suo.


Una tavola da Zombre #3

giovedì 17 luglio 2014

Abyssal Yawn - Part One





di Ed Steck e Bill Wehmann, Pacific Reverb Society, Pittsburgh (USA), 2014, 32 pagg., colore, $ 8.

Già autore di mini-comics come Death of Spot e Would You Still Love Me in Black and White, Bill Wehmann ha iniziato una collaborazione con lo scrittore e poeta Ed Steck dando vita ad Abyssal Yawn, una serie di cui è uscito da poco il primo numero, presentato in un elegante albo formato comic book con la cover in cartoncino e spesse pagine patinate a colori. Abissal Yawn prende forma dalle saghe cosmiche in stile Marvel anni '60/'70, dal Silver Surfer di Stan Lee e John Buscema al Warlock di Jim Starlin, attualizzandone le tematiche in chiave moderna grazie a ironia e metafore socio-politiche. Protagonista è un eroe fatto della materia stessa dello spazio, un po' come Eternity del Marvel Universe, ma dall'aspetto di un uomo blu nudo, alla Silver Surfer appunto, con trecce rasta e senza slip né misteriosi vuoti in mezzo alle gambe. Dopo essere stato liberato da un'entità sconosciuta dalla prigione dell'eternità, inizia l'esplorazione del tempo eterno, "esponendosi ai rischi dei vagabondaggi quotidiani di un essere universale, nomade e celestiale". 




Le corpose didascalie ci guidano passo passo nel viaggio del protagonista, che raggiunge un pianeta chiamato Berkornrog, in realtà nient'altro che la proiezione mentale di Max, una specie di cane a due zampe che va in giro incappucciato e fuma la pipa. Sarà lui a informarlo di una cospirazione intergalattica da parte della Mother Sky Corporation, una società che sta mettendo a repentaglio l'esistenza stessa dell'universo privandolo con continue trivellazioni del latte celestiale, una sostanza che favorisce l'interconnessione tra le differenti linee temporali. Max invita così il protagonista, ribattezzato Birch Twig, ad abbracciare la sua causa e lo sottopone a un rito iniziatico che comprende mangiare uno stufato di pianeti imprigionati e cibarsi del cervello di una bestia malata. Il rito lo libererà del suo involucro blu e lo trasformerà in un essere arancione, come succederà allo stesso Max. Al grido di "Metal bodies of purity ride on" i due si lanceranno a bordo di un monolite a caccia della Moter Sky Corporation. 
La narrazione didascalica e le lunghe digressioni di Max ci riportano a un fumetto di altri tempi, che viene però unito a un approccio underground e a una trama elaborata e folle al punto giusto, che trova il suo punto di forza non tanto nei riferimenti fantascientifici e nella coerenza interna, ma nel deliberato accumulo di elementi bizzarri. La parte più visionaria e che esalta al meglio sia la colorazione che il tratto crudo ed efficace di Wehmann è quella ambientata su Berkornrog, un pianeta che nella classica tradizione di Star Trek presenta oggetti e paesaggi del nostro quotidiano vicino ad altri esotici e tribali, dando una sensazione di familiare estraneità. Come già accadeva nel precedente Death of Spot, non a caso realizzato per il Comics Workbook Composition Competition dello scorso anno, le capacità narrative del cartoonist di Pittsburgh si esaltano quando utilizza una griglia ben definita di vignette, che siano sei, nove o addirittura sedici. Notevoli anche un paio di splash-page, anch'esse semplici ma efficaci, in grado di suggestionare con pochi elementi. Metal bodies of purity read on, give us the second issue!




venerdì 11 luglio 2014

Irene #4




AA.VV., Irene (distribuito da Hic & Hoc), aprile 2014, brossurato, 152 pagine, bianco e nero, A5, $ 15.

Il nuovo numero di Irene è una jam session tra i suoi curatori con la partecipazione di ospiti a sorpresa. Legata inizialmente al Center for Cartoon Studies, l'antologia statunitense si sta pian piano affrancando dalle sue origini e anche in questa quarta uscita ha il suo punto di forza nella capacità di presentare contenuti eterogenei all'interno di un progetto ben definito. Ma andiamo con ordine, iniziando appunto dalle collaborazioni tra dw, Dakota McFadzean e Andy Warner, che a partire dalla Ten Minutes Break pubblicata sullo scorso numero (qui la recensione), realizzata dai primi due, hanno costruito un modus operandi. Veronica and the Good Guys in "Ain't Pussy Footin!" vede Warner disegnare i personaggi rappresentati nel numero precedente dallo stesso dw, qui autore della storia, creando una sorta di continuity interna: il tratto di Warner, di solito rotondo ma anche realistico, diventa qui cartoon e segue il ritmo di un concerto rock iperviolento, in uno dei migliori lavori del volume. 





I tre mostrano di avere voglia di innovare, cambiare, sperimentare, prendendo in prestito lo stile dell'altro, integrandone i tratti distintivi, come confermano le successive Generals and Gods, del duo McFadzean/dw, e A Dream, opera invece di Warner/McFadzean. Il fatto che dw disegni anche un'altra storia, Walk Like You Mean It, scritta da Power Paola, dà all'antologia una compattezza invidiabile, cui contribuiscono anche gli intermezzi in forma di gag realizzati da Ben Juers e le numerose assonanze tra i diversi episodi. La già citata Generals and Gods condivide infatti con The Dark di Laura Terry il tentativo di uccidere una minacciosa entità, Black Boots di Jackie Roche sceglie il tema presidenziale come Zapruder 313 di Luke Howard, mentre Nyos di Emi Gennis ha in comune con Yellow Plastic di James Hindle l'ambientazione desolata da post-cataclisma. Le due appena citate sono tra le migliori cose dell'antologia: la prima è il pacato resoconto di un evento storico drammatico, la seconda un'opera di fiction intensa, caratterizzata da piccole vignette, disegni spigolosi e una narrazione da racconto americano. 





Non da meno sono Boats del libanese Mazen Kerbaj, altro autore medio-orientale dopo Barrack Rima del numero scorso, capace di giocare con la geometria del fumetto ma anche di romperne gli equilibri con originali raffigurazioni di marinai e creature marine, e Access di Georgia Webber, in cui l'autrice cerca di rappresentare i suoi problemi di voce sin dalla costruzione della pagina. Ultima citazione per due contributi puramente illustrativi, quelli di Amy Lockhart, con una galleria di nudi femminili letteralmente disarticolati, e Carlista Martin, giovane illustratrice di base a Washington, per me una nuova scoperta assolutamente da tenere d'occhio, tra Julie Doucet, arte underground, riferimenti biblici e Mondo hipster.




lunedì 7 luglio 2014

Comics People: E.A. Bethea




Ho scoperto E.A. Bethea nel primo numero di Tusen Hjärtan Stark, antologia formato tabloid curata da Austin English per la sua Domino Books con l'intento di pubblicare opere di artisti stranieri poco conosciuti negli Stati Uniti insieme a comics americani caratterizzati dall'innovazione formale. Più che l'opera di Warren Craghead e della svedese Joanna Hellgren, che già conoscevo, è stato appunto il lavoro della Bethea a sorprendermi. Cinque delle sette pagine da lei realizzate si basano su una suddivisione della tavola in quattro strisce orizzontali, per un totale tra le 11 e le 13 vignette. I contenuti, per lo più scritti, sono accompagnati da disegni essenziali e a volte le figure scompaiono del tutto, tanto che alcune vignette sono in realtà riempite soltanto dal testo, così intenso che la cornice sembra troppo stretta, come se le parole volessero uscire fuori dai bordi per diventare flusso di coscienza. E forse, se questi limiti non esistessero, il testo perderebbe ogni capacità di sintesi per trasformarsi in pagine e pagine di inchiostro. A questi fumetti dalla macrostruttura quantomeno tradizionale, si accompagnano due illustrazioni a pagina intera, con un testo esplicativo sotto. Capirete insomma come il vero segreto del lavoro della Bethea siano proprio i testi, strutturati più come digressioni su uno o più temi che come narrazione e dotati di un ritmo e di una metrica vicini al linguaggio della poesia. Questa vena poetica diventa appassionato lirismo in racconti come Poydras St. Coffeewharf, affresco notturno della vita portuale, e soprattutto in Blue for Night, Amber for Dawn, ricordo filosofico e affatto banale di un amore perduto. Nelle altre storie la Bethea predilige la biografia e la cronaca nera, raccontandoci con toni crudi e viscerali le vicissitudini di un detenuto, una prostituta, Blanche Barrow, Lee Harvey Oswald, Malcolm X. A volte sembra di leggere una poesia, altre una biografia, altre ancora un articolo di giornale o un diario personale. E il bello è che tutti questi registri, uniti a un humour sottile ma praticamente onnipresente e a una predilezione per gli elementi sessuali e morbosi, si trovano spesso nella stessa pagina, rendendo l'arte di E.A. Bethea un corpus ben definito.




Dopo aver letto queste storie ho cercato qualche informazione sull'autrice ma la biografia sul suo sito diceva semplicemente che "è un'artista, scrittrice, musicista e collezionista di dischi nata a New Orleans e che vive a Brooklyn". Di recente però E.A. ha aggiunto un link alla sua pagina Tumblr e una lista delle pubblicazioni a cui ha contribuito, tra cui il Suspect Device edito da Josh Bayer, la rivista Smoke Signal e soprattutto la sua personale antologia di 88 pagine, Bethea's Illustratedpubblicata dalla Sad Kimono Books nel 2009.
A questo punto non ho potuto fare a meno di leggere il volume, che ospita opere realizzate a partire dal 1999, per la gran parte pubblicate in fanzine fotocopiate, e conferma quanto visto nelle poche pagine dell'antologia targata Domino Books, tra storia, cronaca nera, ironici ritratti a tutta pagina, biografie, autobiografia vera o presunta, sogni, episodi a tema sessuale  e riferimenti al cinema della nouvelle vague francese. 




Ad aprire le danze è Speakeasy, che ci riporta ai tempi del proibizionismo confermando la predilezione dell'autrice per locali segreti, bettole e porti, visti come luoghi in cui si consuma sesso clandestino, a volte omosessuale e altre adultero. I suoi comics fanno respirare un'aria anni '30 e con quel costante senso di decadenza richiamano il post-29 statunitense, inserendosi nel periodo che da Il Grande Gatsby porterà alla Beat Generation. Per la gran parte tuttavia non sono focalizzati su un singolo argomento, dato che la Bethea ha un'abilità unica nel dar vita a opere free-form, che iniziano in un modo e vanno a parare in tutt'altra direzione. E unica è anche la capacità di dare un'atmosfera malinconica, a volte romantica, a situazioni più che prosaiche, come accade in Shaky, Makeshift Bridges, storia d'amore tra un prostituto e il suo cliente che tra protettori, droghe e fughe in macchina si conclude così: "When you wanted to leave me, you riddled me with questions of which I could provide no answer: does water have taste? Green or blue? Knife or fork? I was at a loss. I wanted to say both, but knew I was wrong. Now my eyes are slits and I am riding down a long bridge over black water. You are my destination and you are either very far or very close. Tell me, which is it? Have I chosen the right bridge or will I wake up without you, thrashing through wild waters & wreckage?". Le immagini richiamate, il ritmo, le assonanze danno al testo potenza e capacità evocativa.




A volte il lirismo si trasforma in manifesto poetico, come accade in Art Brut, in cui la cartoonist si autodefinisce "non-professional", "psychotic", una "amateur graffiti-writer". Ma qui più che mancanza di tecnica c'è un'urgenza di esprimersi che regala vitalità ai disegni, tra l'altro sempre in evoluzione anno dopo anno. In Bethea's Illustrated troviamo così le linee appena abbozzate e naif di Bed & Board e My Days at Sea, entrambi datati 2000 e dominati dallo sfondo bianco, e pezzi più curati come la già citata Shaky, Makeshift BridgesParchman Farm e Uncorking. I risultati migliori dal punto di vista estetico sono però raggiunti in alcune illustrazioni a tutta pagina, come l'ottocentesca A Depraved Murderess Drowning Her Husband e la visionaria The Babushka Lady. E se date un'occhiata al suo sito, vedrete che l'uso dell'inchiostro di Smoking Between the Cars, storia come sempre di una pagina datata 2013, fa pensare anche a nuovi orizzonti.




Ho iniziato a scrivere questo profilo mesi fa, dopo aver letto Tusen Hjärtan StarkNel frattempo l'ho visto, rivisto, abbandonato, riletto e corretto e alla fine lo pubblico per non continuare a scriverlo e riscriverlo. Non so se sono riuscito a esprimere come sono i fumetti di E.A. Bethea e quanto li apprezzo. Sicuramente meglio di me ha fatto Scott Longo di Sonatina Books nella sua recensione di Tusen Hjärtan Stark. Il pezzo mi è stato suggerito dalla stessa autrice, con cui in questo periodo ho scambiato diverse mail. Elizabeth (questo il suo primo nome) mi ha citato tra le sue influenze David Collier e Aline Kominsky Crumb, mi ha detto che l'idea di pubblicare Bethea's Illustrated è stata di Gerard Smith dei TV on the Radio, scomparso prematuramente nel 2011, che il suo background è poetico e che non ha mai preso lezioni di disegno. Mentre queste righe prendevano forma, è uscita anche No Tokens, una rivista letteraria con collaboratori del calibro di Rick Moody e George Saunders e che ha ospitato anche la nostra E.A., autrice in questo caso di alcune illustrazioni, e Suspect Device #4, dove è al fianco del meglio dell'underground a fumetti statunitense. Il tutto in attesa di qualche novità più corposa, che speriamo possa arrivare quanto prima.