Di base a Cleveland, nell'Ohio, Nathan Ward ha soltanto 22 anni ma guarda con le sue figure sporche e rotonde alla tradizione dell'underground statunitense. Non sembra molto legato al contemporaneo Ward, anzi, il primo riferimento che viene in mente guardando i suoi umanoidi mutanti con la testa simile a un pitbull, bocche larghe e dentature bene in vista è Basil Wolverton, magari filtrato attraverso uno dei suoi eredi in ambito indie, quel Michael Roden prematuramente scomparso nel 2007. E se ci aggiungete anche i colori volutamente tenui e la carta ruvida utilizzata per confezionare le 32 pagine di questo debutto, potete ben capire che Fun-O-Planet sembra uscito almeno dagli anni Ottanta.
La storia trasporta in ambito spaziale le vicissitudini di tre classici perdenti di periferia, abitanti di un pianeta non meglio specificato piuttosto simile alla nostra terra. Torturati e rapiti da un tentacoloso alieno, vengono portati su Fun-O-Planet, dove li attende un altro mostruoso essere desideroso di impossessarsi dei loro cervelli, necessari alla sopravvivenza della sua specie. L'arte di Ward è tutta nei dettagli e nelle trovate bizzarre, che da queste parti non mancano di certo. Ecco così che i tre protagonisti vengono lobotomizzati con una lingua che gli entra negli occhi, rompono il televisore a testate e poi passano il tempo a guardare lo schermo frantumato completamente stonati, fanno telefonate con cellulari che gli escono dal cranio. La seconda parte è quella più ricca graficamente, tanto che il viaggio nello spazio è accompagnato da momenti visionari che ricordano gli intermezzi musicali dei cartoon Disney di una volta, tra luna-park, mani che applaudono e piatti di spaghetti. E anche il secondo numero promette grandi cose, dato che nel finale i tre balordi, ormai privi di cervello e quindi più tonti che mai, salgono su un pulmino per farsi un giro nelle lande tossiche e devastate di Fun-O-Planet.
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