di Anna Deflorian, Canicola, Bologna (Italia), ottobre 2013, spillato, 28 pagg. a colori in italiano con traduzione in inglese, 30x42 (A3), euro 17.
"Chi ti ha messo del detersivo nella lattina? Chi ha messo l'esplosivo sul ghiaccio del lago dove si va a pattinare? Chi ha manomesso i cavi della funivia? Chi mi ha mandato dei fiori senza biglietto?". La risposta a queste domande è il Selvaggio, l'uomo-bestia che da anni terrorizza un non meglio precisato paese di montagna. Tra rocce dai colori irreali e tenebrose foreste le cugine Alia, Sharon e Klara se la devono vedere con questa misteriosa entità e con i Cinque, i loro antagonisti.
Roghi inizia come un giallo e, nonostante il tono ironico e surreale, leggendo le prime pagine ci si aspetta di scoprire cosa o chi è il Selvaggio. Ma la Deflorian non è interessata a sviluppare linearmente il racconto e preferisce creare un'atmosfera torbida in cui affiorano un passato familiare complicato, somiglianze misteriose, tradimenti, segreti indicibili, desideri nascosti, rabbia adolescenziale. I roghi del titolo sono il fuoco che brucia nelle tre ragazze, condannate a una vita di provincia raffigurata con autenticità. La loro inquietudine è tradotta graficamente con la costante presenza di un rosso vivo, che stacca sugli altri colori fino a dominare l'incendio onirico del finale. Le fiamme bruciano oggetti, case e chiese, si sostituiscono alla neve e fanno tabula rasa di tutto quello che c'è stato fino a quel momento, chiudendo una fase della crescita delle protagoniste.
A leggere la biografia della Deflorian, nata a Trento ma trasferitasi successivamente ad Amburgo, Helsinki e Bologna, sembra facile il riferimento autobiografico. Tuttavia l'interpretazione non è scontata, perché la storia si chiude con un finale enigmatico, forse sin troppo brusco, confermando comunque il gusto per una narrazione senza fronzoli che già si poteva notare nelle prove per l'antologia Canicola. E' però riduttivo analizzare Roghi solamente per le soluzioni narrative. Le tavole in formato A3 della collana Sudaca, in cui la casa editrice bolognese ha appena pubblicato anche Cani Selvaggi di Amanda Vähämäki, esaltano i disegni della Deflorian, realizzati con una tecnica mista di china, pittura a olio e colorazione digitale e che in alcuni casi non sfigurerebbero in qualsiasi galleria d'arte come illustrazioni autonome.
Degna di nota è l'atmosfera anni '80 che permea il volume sin dalla copertina, cosa abbastanza singolare se si tiene conto che l'autrice è nata soltanto nel 1985. Eppure le inevitabili reminiscenze di Twin Peaks, la citazione dell'inedito dei Joy Division Pictures in My Mind, i colori tenui, l'abbigliamento vintage (fantastica la maglia con i cigni indossata da Alia a pagina 9), rimandano proprio all'immaginario di quegli anni e ci fanno apprezzare Roghi come l'opera di un'artista originale e fuori dal tempo.
Ha il titolo della sua graphic novel più famosa, It's a Good Life, If You Don't Weaken, la mostra di originali di Seth in programma dal 10 settembre al 26 ottobre a New York alla Adam Baumgold Gallery, spazio che negli ultimi anni si è già guadagnato le attenzioni degli appassionati di comics organizzando mostre di Chris Ware, Charles Burns, Renée French, Marc Bell e dello stesso Seth. Qualche settimana fa ho avuto la fortuna di visitare la mostra, di cui avevamo già parlato qui, scambiando due chiacchiere con il gentilissimo Adam Baumgold. Colgo l'occasione per pubblicare qualche foto scattata durante la visita, in cui potete intravedere i disegni originali di It's a Good Life, if You Don't Weaken, illustrazioni tratte dalle pagine interne delle diverse edizioni del volume, cover di Palookaville (la serie a fumetti in cui è stata serializzata la storia), alcuni originali di tavole e copertine pubblicate sulla rivista Drawn & Quarterly e altro ancora. Se volete approfondire, sul sito della galleria trovate il dettaglio delle circa ottanta opere in mostra.
Cerco di mettere ordine tra un po' di fumetti letti di recente scegliendone tre per una recensione collettiva. Partiamo dunque dal nuovo numero di Optic Nerve di Adrian Tomine, uscito a luglio per Drawn & Quarterly. Mi era piaciuta un paio di anni fa la decisione di Tomine di riprendere a pubblicare la serie nel classico formato dell'albo a fumetti, mentre tutti i suoi colleghi affermati si dedicavano a graphic novel compiute o avevano trasformato i loro comic book in libri a tutti gli effetti (come Chris Ware e Seth rispettivamente con Acme Novelty Library e Palookaville). Il numero 12 di Optic Nerve aveva portato nel settembre del 2011 una ventata di freschezza, soprattutto con la prima storia, A Brief History of the Art Form Known as "Hortisculpture", in cui Tomine faceva qualcosa di nuovo rispetto al passato per forma, tono e contenuto. Purtroppo questo nuovo numero è un passo indietro rispetto all'ultima prova, dato che, sempre a mio modestissimo parere, la storia portante Go Owls non è perfettamente riuscita. Go Owls unisce le tematiche care all'autore, ricordando soprattutto i numeri dal 5 all'11 di Optic Nerve (raccolti nei volumi Summer Blonde e Shortcomings), al tono ironico di Hortisculpture, creando però un mix che non appassiona e che dopo un'attesa di due anni lascia l'amaro in bocca. Anche la storia di una tavola che funge da copertina non risulta divertente come si vorrebbe. Meglio piuttosto rifugiarsi nelle otto bellissime pagine a colori di Translated, from the Japanese, che raccontano in forma epistolare un viaggio di una madre e del suo bambino dal Giappone agli Stati Uniti, sullo sfondo di una crisi familiare. Profondo, malinconico, introspettivo, il racconto non ci mostra mai i personaggi ma soltanto gli scenari in cui si muovono: qualcuno potrò anche considerarlo un esercizio di stile, ma per me è puro Tomine dei primi tempi con il tratto e i colori eleganti di oggi.
Da Brooklyn, dove ormai Tomine vive da qualche anno, ci spostiamo a Providence per incontrare Andrew White, promettente ventiduenne che ha pubblicato per la Retrofit Comics di Box Brown We Will Remain, albo di 48 pagine che raccoglie storie brevi legate sottilmente tra loro. We Will Remain è un'opera in parte immatura, ma pur nell'altalena di stili e tecniche e con un tratto ancora indeciso nel descrivere la figura umana, White ci dimostra di avere ottime idee e di poter essere considerato una promessa. Quel che mi piace di lui è la capacità di guardare oltre il realismo delle storie. Così dona un tono misterioso e magico a As Leaves Change Color, sfiora il metafisico nella storia che dà il titolo alla raccolta e addirittura sfoggia un tratto alla Kirby nell'interessante esperimento fantascientifico di Travel. Se riuscirà a creare il giusto mix tra intimismo e temi "altri", potrà fare grandi cose.
Tutt'altro tono per il primo numero di Alamo Value Plus, nuova serie edita dall'ottima Revival House Press e realizzata da Rusty Jordan, che per lo stesso marchio aveva già fatto uscire Buger Warz (con Levon Jihanian). Il tratto caricaturale e rotondo di Jordan è già perfettamente maturo e viene messo al servizio di una storia debitrice alla tradizione del fumetto underground quanto a Peter Bagge. Le prime battute ci mostrano un lungo dialogo tra il protagonista Baldo e i colleghi del grande magazzino in cui lavora. Ma basta aspettare pagina 8 per vedere partire un delirante flashback che occupa tutto il resto dell'albo, in cui Baldo racconta con tono esageratamente epico e assolutamente poco realistico la persecuzione subita dai nazisti durante l'infanzia, la prigionia e la fuga. Il finale riporta all'attualità e lascia presagire la resa dei conti tra il protagonista e la sua nemesi, il comandante Max Schidthed, ancora vivo e desideroso di vendetta. Alamo Value Plus si lascia leggere con piacere e promette bizzarri sviluppi.
Heather Benjamin, Michael DeForge, Kim Deitch, Renée French, Lisa Hanawalt, Simon Hanselmann, Sammy Harkham, Dean Haspiel, Paul Karasik, David Mazzucchelli, Jonny Negron, Paul Pope, Dash Shaw, Art Spiegelman, Adrian Tomine, Jeff Smith: non è una lista del meglio del fumetto di ieri e di oggi, ma l'elenco degli ospiti principali del Comic Arts Brooklyn, festival in programma a New York sabato 9 novembre. A questi si aggiunge anche Paul Auster, scrittore che da quelle parti è un'autorità, basti ricordare le opere per cui è conosciuto al grande pubblico, ossia la raccolta di romanzi brevi Trilogia di New York e le sceneggiature di Smoke e Blue in the Face, entrambi diretti da Wayne Wang e ambientati a Brooklyn. Proprio dell'adattamento a fumetti di Città di vetro, tratto da Trilogia di New York, si parlerà insieme allo stesso Auster e agli autori Paul Karasik e David Mazzucchelli in uno degli incontri in programma alla Knitting Factory, storico ritrovo musicale newyorkese ormai da diversi anni trasferitosi a Williamsburg, dove si terrà anche la ricchissima mostra mercato presso la Mt. Carmel Church. Le location sono le stesse del Brooklyn Comics and Graphics Festival di cui era stata annunciata la fine dopo l'edizione 2012, introdotta da un bel poster di Chris Ware che ripropongo in basso per chi se lo fosse perso. Qualche mese fa è arrivato l'annuncio da parte del negozio di fumetti Desert Island, già tra gli organizzatori della precedente rassegna, della nascita di questo nuovo festival, che si preannuncia ugualmente interessante.